Category: Bolzaneto

Le violenze di Bolzaneto sotto la lente della Corte Europea

di , 15 novembre 2013 11:43

Dal Corriereit

 

Sono passati 12 anni dal G8 di Genova, quando nella caserma di Bolzaneto 150 fermati hanno subito da parte di pubblici ufficiali violenze fisiche e psicologiche. In quelle giornate di luglio 2001, mentre arrivavano più di 300mila manifestanti da tutto il mondo, uno stabile della caserma di Bolzaneto, sede del reparto mobile della polizia di Genova, era stata trasformata in istituto penitenziario provvisorio: un punto di smistamento dei fermati del G8, dove i manifestanti sarebbero dovuti velocemente passare solo per il foto-segnalamento e la visita medica.

Ma, invece di poche ore, i fermati sono rimasti anche due giorni, subendo maltrattamenti da parte di poliziotti, guardie penitenziarie e personale medico. Di questi pubblici ufficiali solo una quarantina sono stati identificati e per questo processati. 4 gli assolti, 7 i condannati penalmente; per gli altri imputati i reati penali sono caduti in prescrizione e sono stati dichiarati responsabili dei fatti ai soli fini civili, quindi condannati al risarcimento danni nei confronti delle vittime.

Per queste condotte criminose, la Cassazione ha condannato anche i ministeri dell’Interno e della Giustizia al risarcimento. Secondo la legge avrebbero dovuto cominciare a pagare sin dalla sentenza di primo grado, 5 anni fa, ma così non è andata. Infatti, solo a fine settembre di quest’anno il ministero dell’Interno ha comunicato che si inizierà con il risarcimento di 31 parti offese, le uniche 31 che hanno fatto ricorso alla Corte Europea. Per gli altri non c’è ancora niente di ufficiale.

Pagina 112 della sentenza 678/2010 Corte di Appello di GenovaPagina 112 della sentenza 678/2010 Corte di Appello di Genova.
Nonostante per il processo di Bolzaneto la Corte di Appello parli di “trattamenti inumani e degradanti o azioni di tortura” che esprimono “il massimo disonore di cui può macchiarsi la condotta del Pubblico Ufficiale”, la tortura non è perseguibile come reato, perché nell’ordinamento penale italiano non esiste. Dopo aver raccolto il ricorso dei manifestanti, e in base ai termini dell’articolo 3 della Convenzione Europea che l’Italia ha ratificato nel 1955, ora è proprio la Corte Europea dei diritti umani a chiedere ufficialmente informazioni sull’adeguatezza delle sanzioni previste dalla legge italiana nei casi di tortura e di trattamenti inumani o degradanti.

Inoltre uno degli standard richiesti dalla Corte Europea è la sospensione dei pubblici ufficiali in corso di processo. Ad oggi, invece, le istituzioni non si sono ancora pronunciate su eventuali procedimenti disciplinari. Al contrario, come denunciano gli avvocati delle parti civili, alcuni di quegli ufficiali oggi condannati sono stati anche promossi negli anni. Anche di questo lo Stato dovrà rispondere alla Corte Europea per i diritti umani.

Le giornate del G8 di Genova hanno dato seguito ad altri processi e quello di Bolzaneto non è l’unico procedimento in cui sono stati coinvolti membri delle Forze dell’ordine: la Cassazione ha confermato le condanne per le violenze della polizia durante l’irruzione alla scuola Diaz Pertini, mentre è stato archiviato il procedimento penale nei confronti del carabiniere che ha sparato a Carlo Giuliani.

Il processo per devastazione e saccheggio, per cui 10 manifestanti sono stati condannati lo scorso anno, vedrà l’ultima battuta domani (13 novembre), quando verrà valutata la concessione delle attenuanti per 5 di loro. Il reato prevede comunque pene che vanno dai 6 ai 15 anni di reclusione, che i manifestanti stanno già scontando.

Si ringrazia il Comitato SupportoLegale e Giacomo Verde per la concessione dell’utilizzo delle immagini d’archivio

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Poche mele marce: da Bolzaneto allo stupro

di , 1 ottobre 2013 19:16

BVgjm_vCAAA2Z37Da Romatoday

E’ stato condannato a 12 anni e mezzo di reclusione per stupro l’assistente capo di polizia Massimo Luigi Pigozzi. Questa la decisione della terza sezione penale della Cassazione. Pigozzi, già condannato a tre anni e due mesi per le violenze avvenute nella caserma di Bolzaneto nei giorni successivi al G8 di Genova del 2001, dovrà anche risarcire una delle vittime delle violenze sessuali avvenute durante il servizio prestato presso la Questura di Genova.

VIOLENZE IN QUESTURA - Al centro di questo secondo processo a carico dell’agente già sul “libro nero” del G8 del 2001, le violenze sessuali avvenute ai danni di donne in stato di fermo mentre si trovavano nella camera di sicurezza della Questura del capoluogo ligure. Pigozzi, che nel procedimento sui fatti di Bolzaneto venne ritenuto responsabile di aver letterlmente strappato una mano al manifestante Giuseppe Azzolina, era stato condannato già in primo grado che in appello e la sua condanna per violenza sessuale aggravata e abbandono di posto di servizio è ora stata confermata dalla Suprema Corte.

CONDANNATO ANCHE LO STATO - I giudici di secondo grado avevano escluso la responsabilità civile del ministero dell’Interno ma la Cassazione ha accolto il ricorso di una delle donne vittima di violenza, una straniera costituitasi parte civile nel processo, e condannato il Viminale a risarcirla.

IL RICORSO - La donna vittima di violenze, nel suo ricorso, aveva rilevato che “le mansioni svolte dall’imputato hanno grandemente agevolato la condotta criminosa”, addebitando “allo Stato una culpa in vigilando” per aver dato a Pigozzi un “compito delicato – si sottolineava nel ricorso – benché fosse già stato condannato per episodi di violenza gravissima contro soggetti fermati (fatti verificatisi a Genova in occasione del G8)”. 

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G8 Genova: Marina, Alberto e Gimmy siamo noi

di , 20 giugno 2013 12:19

Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto il 20 giugno 2013.

g8gengimmy

Con la sentenza definitiva su Bolzaneto si è concluso anche l’ultimo dei grandi processi simbolo sul G8 del 2001. Sarebbe dunque tempo di bilanci e di qualche ragionamento, ma in giro sembra esserci poca voglia di farlo. Anzi, paragonato al clamore mediatico che un anno fa aveva accompagnato la sentenza Diaz, quella su Bolzaneto è passata praticamente inosservata.

Nulla di sorprendente, in fondo, perché tutti sapevamo che quella sentenza non avrebbe aggiunto nulla di nuovo. E poi, sono passati parecchi anni, quel movimento non c’è più e i tempi sono cambiati. Tutto comprensibile, per carità, eppure c’è qualcosa che non quadra, che stona terribilmente.

Già, perché alla fin della fiera, dopo tante sentenze e l’accertamento di un numero impressionante di gravi reati contro la persona, gli unici che stanno in galera, peraltro con pene allucinanti fino a 14 anni, sono alcuni manifestanti di allora, presi a casaccio e colpevoli esclusivamente di aver danneggiato delle cose. Si chiamano Marina, Alberto e Gimmy.

Peraltro, il numero degli ex manifestanti carcerati potrebbe pure crescere, visto che i condannati in via definitiva per “devastazione e saccheggio” sono dieci. Degli altri uno è irreperibile, Ines è agli arresti domiciliari e per cinque è necessario un nuovo passaggio in appello, ma limitatamente a un singolo attenuante.

Penso che abbandonare quelle persone al loro destino sia inammissibile. Umanamente, moralmente e politicamente. L’esito complessivo dei processi genovesi, con la sua manifesta disparità di trattamento, è infatti destinato a fare da precedente, a rafforzare la sensazione di impunità tra il personale degli apparati di sicurezza e a legittimare l’uso di pene sproporzionate ed esemplari contro manifestanti.

Il reato di “devastazione e saccheggio”, risalente al periodo fascista, non è certo l’unico strumento giuridico a disposizione per fini repressivi, ma è senz’altro quello più estremo e discrezionale, poiché non ti punisce per quello che hai fatto, ma per averlo fatto in determinate circostanze. Ed è così che una bagatella, come una vetrina rotta, può trasformarsi in un reato paragonabile all’omicidio. Ebbene sì, perché la pena prevista per devastazione e saccheggio è tra 8 e 15 anni, mentre quella per omicidio preterintenzionale è tra 10 e 18 anni e quella per omicidio colposo non supera i 5 anni.

Quando giustamente ci indigniamo per la brutalità della repressione in Turchia, dovremmo ricordarci anche di questo, specie ora, visto che quel tipo di accusa viene utilizzato in maniera sempre più disinvolta, come sembrano indicare i processi per i fatti di Roma del 15 ottobre 2011.

L’altra faccia della medaglia, altrettanto grave, è l’impunità degli apparati repressivi. Nessuno pagherà per le violenze della Diaz e di Bolzaneto, mentre per l’omicidio di Carlo Giuliani non c’è stato nemmeno il processo. Beninteso, la questione non è invocare la galera per i poliziotti, ma comprendere che l’impunità genera mostri. Siamo sicuri che i casi Aldrovandi, Cucchi, Uva, Ferrulli eccetera non c’entrino con tutto questo? O che non c’entri il fatto che i reparti antisommossa italiani riescano a resistere al numero identificativo sul casco, quando persino i loro colleghi turchi ce l’hanno?

Insomma, qui non si tratta di dibattere sul passato, bensì di costruire ora e qui una battaglia politica per l’abrogazione del reato di “devastazione e saccheggio”, per l’introduzione di norme cogenti che pongano fine all’impunità, a partire da una legge sulla tortura, e per un’amnistia per i reati sociali, che possa restituire la libertà anche a Marina, Alberto e Gimmy.

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14 giugno cassazione Bolzaneto

di , 11 giugno 2013 13:17

bolzaneto_328Il 14 giugno prossimo si concluderà davanti alla  Corte di Cassazione di Roma il processo contro i poliziotti, agenti della penitenziaria e medici responsabili delle torture fisiche e morali infitte ai manifestanti contro il G8 del 2001 a Genova, all’interno della caserma Bolzaneto, utilizzata come lager di detenzione provvisorio secondo i piani di sicurezza di quel vertice del G8.

In quel carcere improvvisato, 250 manifestanti trascorsero quattro giornate infernali, chiusi in cella, senza possibilità di avvisare avvocati o parenti, sottoposti ad ogni genere di vessazione e tortura.

Nel processo, sono 44 gli imputati coinvolti, tra medici, agenti di polizia penitenziaria, poliziotti. Solo sette sono stati riconosciuti penalmente responsabili perché per gli altri i reati sono stati prescritti. Per tutti, resta la responsabilità civile nei confronti delle attiviste e degli attivisti massacrati nel lager di Bolzaneto. I sette poliziotti già condannati in appello sono l’assistente capo della polizia Massimo Luigi Pigozzi, gli agenti di polizia penitenziaria Marcello Mulas e Michele Colucci Sabia, il medico Sonica Sciandra e gli ispettori di polizia Matilde Arecco, Matio Turco e Paolo Ubaldi.

Gli imputati sono stati tutti condannati per lesioni personali, con pene che vanno da 1 anno a 3 anni e 2 mesi.

Quello di Bolzaneto è l’ultimo dei processi dopo Genova ad arrivare a chiusura, dopo quello per le brutalità commesse all’interno della scuola Diaz e  quello contro i 10 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio.

Ancora una volta, come accaduto già per la sentenza Diaz, si omette di considerare l’intera catena di comando che a Genova, in quei giorni di luglio del 2001, decise di trasformare la città in un immenso laboratorio repressivo. Da allora infatti decine sono state le morti nelle caserme, nei commissariati e nelle strade, omicidi e sevizie commesse da esponenti delle forze dell’ordine, forti di 12 anni di impunità e la recente sentenza Cucchi ne è dimostrazione. Questo mentre tre persone sono in carcere e una ai domiciliari per essere stati condannati per i reati di devastazione e saccheggio durante quelle giornate di Genova.  Perché in questo paese una vetrina vale più di una vita umana.

Venerdi dalla mattina saremo a Piazza Cavour a seguire la Cassazione per le torture di Bolzaneto.

Perché Genova non è finita

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Dal G8 al Ministero di Giustizia: la carriera del generale Bruno Pelliccia, prescritto per le violenze a Bolzaneto

di , 25 novembre 2012 07:45

Da Genova 24

E’ uno degli agenti e funzionari prescritti in appello per le violenze all’interno della Caserma di Bolzaneto, durante il G8 di Genova del 2001 l’attuale direttore dell’Ufficio per la Sicurezza Personale e della Vigilanza dell’Amministrazione penitenziaria presso il Ministero della Giustizia a Roma.

Si tratta del generale della polizia penitenziaria Bruno Pelliccia, 51 anni, il cui nome è balzato alla cronache in questi giorni, dopo un video pubblicato da Repubblica.it ha ipotizzato che sul corteo degli studenti romani di mercoledì scorso fossero stati tirati lacrimogeni direttamente dalle finestre del Ministero di Giustizia, ipotesi che ha provocato sgomento ma anche una buona dose di ironia come si vede dai finti cartelli stradali “Piovono lacrimogeni”, attaccati in tutta via Arenula da un gruppo di artisti.

Ma se, sul punto, sia il generale Pelliccia (che in pratica comanda gli agenti della penitenziaria a guardia del Ministero) sia le indagini affidate dal ministro Severino al Racis dei Carabinieri, sembrano escludere che i lacrimogeni siano davvero stati lanciati dall’alto, la vera notizia è che, ancora una volta, un ufficiale condannato (prescritto) per le violenze al G8 di Genova, ha fatto nel frattempo carriera. Prosegui la lettura 'Dal G8 al Ministero di Giustizia: la carriera del generale Bruno Pelliccia, prescritto per le violenze a Bolzaneto'»

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