Diaz

di , 17 giugno 2012 12:06

Potete ascoltare da radiondarossa la testimonianza di due attivisti che la sera del 2o luglio si trovavano dentro la scuola Diaz. Mentre la cassazione rimanda il processo per i massacratori della Diaz al 5 luglio, l’inervista ad un compagno e una compagna tedeschi, che hanno ripercorso l’incubo delle loro giornate a Genova, le cariche violentissime ai cortei, l’irruzione alla Diaz e la violenza fisica e psicologica a Bolzaneto. Con loro era presente Carlo Bachschmidt, che oltre a Black Bloc ha diretto La Provvista, minuziosa ricostruzione dell’irruzione alla Diaz , che ha sottolineato quanto poi le forse dell’ordine abbiano cercato la notte stessa di insabbiare la verità con le menzogne sui ritrovamenti di armi e materiale incendiario durante quella che insistevano a definire una normale operazione di polizia.

Potete ascoltare da radiondarossa la testimonianza di Mark Covell in questi giorni a Roma in attesa della sentenza della Cassazione per i fatti della Diaz, ora fissata al 5 luglio. Mark è un giornalista inglese che si trovava fuori dalla Diaz e per questo massacrato dalla polizia prima di entrare nella scuola.

Maggiori info:

Il processo Diaz su ProcessoG8

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Processo DIAZ

GLI EVENTI

Il complesso delle scuole Pascoli-Diaz-Pertini , nel luglio 2001, venne assegnato al Genoa Social Forum (GSF) per realizzare il centro stampa e avere un luogo fisico di confronto tra i vari gruppi oltre che come dormitorio (anche se in realtà questo sarà un uso improprio che non sarà possibile impedire).

 La sera di sabato 21 luglio, mentre molti manifestanti che dormivano nella Diaz stanno decidendo di tornare a casa compaiono alcuni plotoni della polizia in piazza Merani, la piazzetta a monte di via Cesare Battisti, dove si trovano le due scuole. Da lì muovono a passo di marcia e invadono sia la Diaz che la Pascoli. Sulla loro strada trovano un media attivista, Mark Covell, che viene pestato a sangue e lasciato in fin di vita.

Nella Pascoli la furia dei poliziotti si sfoga quasi subito contro i computer di legali, medici e mediattivisti, oltre che, limitatamente, contro le persone, che vengono fatte sedere contro il muro e con la faccia al suolo mentre i locali vengono perquisiti. 

Nella Diaz è una carneficina. All’irruzione segue la caccia agli attivisti e alle attiviste angolo per angolo del palazzo. Rapidamente, si sparge la voce e fuori dalle due scuole si affollano i giornalisti. Nella Diaz vengono arrestati tutti i 93 presenti (alcuni sono riusciti miracolosamente a scappare). 71 sono feriti e tre in condizioni gravissime, di cui uno in fin di vita. 75 di loro, compresi tutti i feriti meno gravi, sono portati alla caserma di Bolzaneto.

La mattina, in una conferenza stampa in Questura, i 93 arrestati sono accusati di essere parte di una organizzazione internazionale “finalizzata alla devastazione e al saccheggio”. I primi agenti entrati sarebbero stati aggrediti “a mano armata” e all’interno della scuola si sarebbero ritrovate “pericolose armi”. Presto molte di queste affermazioni si dimostreranno false, e cadranno tutte le accuse nei confronti degli arrestati, ma solo due anni dopo si riveleranno falsi anche il ritrovamento di due bottiglie incendiarie e il tentato accoltellamento di un poliziotto.
L’irruzione alla scuola Diaz venne decisa dai massimi vertici della polizia presenti a Genova per il G8, in una riunione tenuta la sera del 21 luglio 2001, dopo due giorni di scontri con un morto, centinaia di feriti e pochi arresti, nella stanza del questore Colucci. 

A presiederla c’era il prefetto Arnaldo La Barbera, capo della Polizia di Prevenzione, arrivato quel pomeriggio da Roma. Presenti Gratteri (capo dello SCO), Caldarozzi (suo vice), Murgolo (vicequestore di Bologna), Mortola (capo Digos Genova) e dalle 22,30 in poi anche Canterini (capo Reparto Mobile Roma). Tutti funzionari che si ritroveranno nella scuola: il via libera lo diede Gianni De Gennaro, per telefono. È noto che il vicecapo della polizia, il prefetto Ansoino Andreassi, manifestò le sue perplessità e non partecipò alla riunione operativa.

Del resto, inviando a Genova La Barbera, De Gennaro l’aveva praticamente sfiduciato.  L’operazione, ufficialmente giustificata con la sassaiola che avrebbe colpito le auto di una pattuglia di Polizia, si concluse con 61 feriti sui 93 manifestanti trovati nella scuola, che per lo più dormivano. Secondo il decreto di archiviazione delle accuse a loro carico, a parte chiudere cancello e portone (sfondati) non opposero una significativa resistenza.  Tutti e 93 furono arrestati per “associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio”, in base ai verbali di perquisizione e sequestro che attestavano il ritrovamento di “armi improprie” e di due molotov. L’inchiesta sulla perquisizione alla Diaz comincia quando i giudici genovesi, dopo aver ascoltato gli arrestati, hanno rifiutato di convalidare gli arresti e di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica.

IL PROCESSO

A Dicembre 2004 vengono imputati 28 uomini vicinissimi al capo della polizia, come Francesco Gratteri, promosso alla testa dell’antiterrorismo giusto in tempo per essere presentato come il castigatore delle nuove BR, dirigenti di primo piano come il capo degli analisti della polizia di prevenzione, Gianni Luperi (coordinatore della task force europea che indaga sugli anarchici); investigatori come Gilberto Caldarozzi (ex vice di Gratteri allo Sco), Filippo Ferri (dalla squadra mobile di La Spezia alle indagini sull’omicidio Biagi) e Fabio Ciccimarra (imputato anche a Napoli per le violenze sugli arrestati nella caserma Raniero).

Devono rispondere di falso e calunnia, essenzialmente per la vicenda delle due molotov fasulle, insieme agli altri firmatari dei verbali della Diaz, da Mortola al vicequestore Massimiliano

Di Bernardini (nucleo antirapine, squadra mobile di Roma), al vicequestore Pietro Troiani e all’ex agente Antonio Burgio, che maneggiarono quelle due bottiglie prima che finissero nelle mani dei dirigenti, ripresi nel cortile da una provvidenziale telecamera. Per il pestaggio all’interno della Diaz sono imputati di lesioni personali in concorso Vincenzo Canterini, Michelangelo Fournier (suo vice al reparto mobile di Roma) e gli otto capisquadra (Fabrizio Basili, Ciro Tucci, Carlo Lucaroni, Emiliano Zaccaria, Angelo Cenni, Fabrizio Ledoti, Pietro Stranieri e Vincenzo Compagnone). In due anni transitano sul banco dei testimoni tutti i ragazzi pestati e arrestati quella notte, infermieri e medici che sono intervenuti sul posto, persone presenti all’interno della Pascoli, vicini abitanti nei palazzi adiacenti alle due scuole, giornalisti e teleoperatori che hanno ripreso le scene in quelle ore. Soprattutto sul banco degli imputati transitano i RIS, nonché esperti della scientifica, i poliziotti che controvoglia (salvo poche eccezioni) hanno dovuto investigare sui propri colleghi.

Il dibattimento non lesina colpi di scena: tra gli altri sono da ricordare la scomparsa delle bottiglie molotov corpo di reato sia di questo processo sia di quello finito con una completa archiviazione contro i 93 arrestati della Diaz.

Si susseguono interrogatori a vari imputati, nessuno dei quali riesce a determinare la catena di comando di quella notte.
Il
13 giugno2007 uno dei 28 poliziotti imputati per l’irruzione alla Diaz, Michelangelo Fournier, all’epoca dei fatti vice questore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma agli ordini di Canterini, testimonia in aula di aver assistito a veri e propri pestaggi, sia da parte di agenti in uniforme (specifica, anche in interviste successive, “con l’uniforme dei reparti celere e un cinturone bianco… non blu come il nostro”) sia in borghese con la pettorina. Fournier ha sostenuto di non aver parlato prima perché non ebbe “il coraggio di rivelare un comportamento così grave da parte dei poliziotti per spirito di appartenenza” e, parlando delle violenze, le ha definite “macelleria messicana” .

Il 20 giugno 2007 i media danno notizia dell’apertura di un’indagine per induzione e istigazione alla falsa testimonianza su Gianni De Gennaro: vi sarebbe un’intercettazione telefonica in cui Colucci, parlando con un alto funzionario della Polizia affermerebbe che “il capo dice che sarebbe meglio raccontare una storia diversa…”. in cui si possa scaricare la responsabilità del blitz su Arnaldo La Barbera (ormai morto) e su Lorenzo Murgolo, la cui posizione è già stata archiviata .

Interrogato il 14 luglio De Gennaro ha respinto tutte le accuse. Per questi fatti i pubblici ministeri il 29 marzo 2008 hanno chiesto il rinvio a giudizio di Gianni De Gennaro, di Francesco Colucci e di Spartaco Mortola. Il 31 marzo 2008 i media hanno dato notizia dell’esistenza di intercettazioni tra un artificiere che aveva firmato un verbale in cui affermava che le due molotov erano state distrutte per errore (il cui telefono era sotto controllo per altre indagini che lo riguardavano non legate ai fatti del G8) e un suo familiare, in cui il primo diceva che le molotov sarebbero state da lui consegnate ad alcuni agenti della Digos, ma che questa versione non poteva essere data ai magistrati, per cui gli era stato consigliato di usare come scusa la distruzione accidentale dei due reperti.

LA SENTENZA DI PRIMO GRADO

Il 13 novembre 2008 viene emessa la sentenza di primo grado. Vengono condannati Vincenzo Canterini (4 anni), che secondo le ricostruzioni fu il primo gruppo a fare irruzione nell’istituto, e diversi suoi sottoposti (tra cui Michelangelo Fournier condannato a 2 anni). Condannati anche Michele Burgio (2 anni e 6 mesi) e Pietro Troiani (3 anni) per aver rispettivamente trasportato ed introdotto all’interno dell’edificio le due molotov.

Nel marzo 2009 viene presentato il ricorso in appello contro le condanne.

Nel luglio 2009 i PM chiedono la condanna ad un anno e quattro mesi di reclusione per Spartaco Mortola e di due anni di reclusione per Gianni De Gennaro, relativamente all’accusa di aver spinto il questore Francesco Colucci a cambiare versione durante le testimonianze, dandone una falsa. Nell’ottobre seguente il giudice dell’Udienza Preliminare di Genova ha assolto i due funzionari per non aver commesso il fatto, rinviando però a giudizio Colucci.

Altre condanne minori ma soprattutto assoluzioni: sia per la Pascoli, sia per il finto accoltellamento. L’accusa aveva chiesto 28 condanne, su 29 persone processate per un totale di circa 109 anni di carcere : in totale sono stati erogati 35 anni e 7 mesi di carcere, più 800 mila euro di risarcimento (da parte di alcuni condannati e del Viminale) da dividere fra circa novanta persone. Non essendo avvenuta l’identificazione degli agenti che avevano ridotto in coma il giornalista inglese Mark Covell, questo è stato risarcito di soli quattromila euro per essere stato “calunniato” da alcuni agenti.

LA SENTENZA DI SECONDO GRADO

Il 18 maggio 2010 la terza sezione della Corte d’Appello di Genova riforma la sentenza di primo grado condannando tutti i vertici della catena di comando della Polizia che assolti nel precedente giudizio. In totale sono condannati 25 imputati su 28, per una condanna complessiva ad oltre 98 anni e 3 mesi di reclusione.

In particolare, l’ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini è stato condannato a cinque anni, il capo dell’anticrimine Francesco Gratteri e l’ex vicedirettore dell’Ucigos Giovanni Luperi a quattro anni ciascuno, l’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola e l’ex vicecapo dello Sco Gilberto Caldarozzi entrambi a tre anni e otto mesi. Un dirigente della Polizia, Pietro Troiani, accusato con Michele Burgio di aver materialmente introdotto le molotov nella scuola, è stato condannato a tre anni e nove mesi.

APPELLO

Il 17 giugno 2010 la sentenza di appello condanna De Gennaro (nel frattempo passato a dirigere il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza) a un anno e 4 mesi, mentre Mortola è condannato ad un anno e due mesi. A seguito della condanna (contro cui ricorrerà in cassazione) il prefetto ha annunciato le sue dimissioni, respinte dal governo, ottenendo pieno sostegno sia da parte degli esponenti della maggioranza sia da parte di quelli dell’opposizione.

Il prossimo 5 luglio la Cassazione dovrò decidere in merito a questo processo che prevede condanne per l’attuale responsabile della Divisione centrale anticrimine Francesco Gratteri (condannato a 4 anni per falso), Giovanni Luperi, ex vicedirettore Ucigos (quattro anni per falso), Gilberto Caldarozzi, oggi numero uno del servizio centrale operativo (quattro anni per falso); Spartaco Mortola, ex capo della Digos genovese e nel frattempo promosso questore (tre anni e otto mesi per falso); Vincenzo Canterini, ex comandante dei celerini romani in pensione con il grado di questore (5 anni per falso).

Ascolta l’audio de La Provvista che ricostruisce tutta l’entrata alla scuola Diaz

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un commento per “Diaz”

  1. Viviana scrive:

    Io a Genova non c’ero, non ero piccolissima, ma forse non avrei avuto la giusta maturità per affrontare tutto quello che è successo, sono stata a Roma 14 dicembre e 15 ottobre mi è sembrato tremendo il livello di repressione, in certi momenti mi è salito un misto di rabbia e paura. I fatti di Genova e altri accadimenti, mi hanno fatto capire che la giustizia non esiste e che non possiamo accettare le cose così come sono. Non è tollerabile che lo stato possa uccidere e torturare e che chi lo fa venga pure promosso. Non è ammissibile che gente come noi, perchè la rabbia per questo mondo è di tutti e non importa chi spacca una macchina o una banca, io non ho mai spaccato nulla personalmente. Ma la violenza non viene dal nulla, viene da gente come me che è stufa di vedersi calpestare. Non è colpevole chi manifesta rabbia, è colpevole chi la fa generare, non è colpevole chi manifesta, ma chi reprime con la tortura, per cui mi auguro che si possa realmente fare qualcosa per evitare che dieci persone paghino e che tutti gli altri avanzino di carriera. Non sono mai stata contro lo stato, ho sempre votato, ma mi sento sempre più vicina all’anarchia, perchè non tollero di essere suddita e non cittadina di un potere sordo. Non so cosa si possa fare, ma se questi ragazzi verranno condannati bisogna fare qualcosa, perchè se non faremo niente allora tanto vale che non ci lamentiamo più e dichiariamo fedeltà al dittatore, ubbidiamo al potere e la smettiamo di scendere in piazza.

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